Responsabilità e l'ardua impresa di definirla

Michaela Bitetto Michaela Bitetto, 15 ottobre 2014
Come definire la responsabilità? Come definire la responsabilità?

"Il senso di responsabilità è un fatto privato"

In un autolavaggio di Pianura, quartiere alla periferia di Napoli, un gruppo di ragazzi di circa ventiquattro anni ha aggredito un ragazzino di quattordici che aveva avuto la malaugurata idea di appisolarsi su un divanetto in attesa che venisse lavato il motorino del padre. Dopo averlo insultato dandogli dell' “obeso”, uno di loro ha pensato bene di utilizzare un tubo ad aria compressa utile a gonfiare pneumatici per lacerargli colon e intestino.

L'autore del gesto, padre di due bambini, si è giustificato sostenendo che si trattava solo di uno “scherzo”, un “gioco”, niente di più.

Definisci: GIOCO.

Intervenuta ad un tradizionale talk show domenicale italiano, Assunta Simeoli, madre dell'aggressore ora in carcere con l'accusa di tentato omicidio, parla di un gesto “banale” suscitando – com'è immaginabile - il disappunto del pubblico.

Su esortazione del suo legale che siede accanto, la signora si affretta a correggere il tiro trasformando quel “banale” in “grave”.

Il dato più preoccupante non è l'evidente gaffe della signora, ma il fatto che molto probabilmente questa non conoscesse a fondo il significato del termine che ha utilizzato.

“E' colpa della famiglia” tuona l'onorevole di turno. “Lei non è stata in grado di educare suo figlio. Che valori gli ha trasmesso?”

Ora, servirsi di un simile episodio per muovere denunce alla società, all'istituzione della famiglia ormai entrata in crisi, alla scuola che non funziona come dovrebbe, allo Stato assente, a condizioni economico – sociali precarie potrebbe risultare controproducente.

E' un caso che i media trattino finalmente un fatto di cronaca in modo cònsono, ponendo l'accento su un elemento significativo dell'intera vicenda: la sua definizione.

Per l'aggressore si è trattato di un gioco.

La realtà è linguaggio, il linguaggio consapevolezza di sé e dell'altro.

Educare dovrebbe avere lo scopo di sensibilizzare un bambino / ragazzo alla percezione di sé. Insegnargli cosa sia quel senso di Responsabilità personale e spronarlo ad acquisirlo quanto prima, dal momento che la causa della violenza sta in chi la commette.

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Perché un corvo somiglia a uno scrittoio?” domanda il Cappellaio Matto ad Alice.

Perché ci si ingegna a tenere fermo un ragazzino terrorizzato, abbassargli i pantaloni per violarlo con un tubo ma a nessuno verrebbe mai in mente -che so - di utilizzare un clistere per guarnire una torta?!

Forse quel paese delle “meraviglie” di cui Lewis Carrol ci narra le contraddizioni è molto meno contraddittorio di quanto non appaia, ahimè! E a renderlo tale siamo noi, con la nostra pigrizia morale, le nostre scelte sempre più facili, i nostri dubbi repressi.

Conosco la realtà della scuola di oggi : sono tutt'altro che infrequenti casi di ragazzini di ogni estrazione sociale, inespressivi e svogliati, mossi come pupazzi da ambizioni di genitori sognanti.

Sono molti, troppi, i ragazzi di età scolare che non hanno parole per raccontare la loro storia, sperduti in chissà quale realtà, sforniti di mezzi autonomi per indagare la loro.

Se la società non incoraggia l'utilizzo puro delle parole, questo diventa un impegno individuale mosso dalla volontà di ciascuno.

Come quella coppia che ieri sera al supermercato, davanti a una isola di libri a prezzo notevolmente ribassato, decide liberamente di aggirarla convenendo sul fatto di averne già un numero sufficiente in casa.

Intraprendere un viaggio, porsi una domanda, acquistare un libro, umiliare un ragazzino, non sono altro che scelte.

E' il senso di responsabilità che dovrebbe guidarle o condannarle, ad essere venuto meno.

E il senso di responsabilità è un fatto privato.

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Michaela Bitetto

Nata a Milano, città nella quale vive e della quale è particolarmente fiera. Fatica a immaginare un mondo senza parole e per quest... Scopri di più sull'autore